Puoi anche vedere il video di approfondimento qui.
2030. È uno dei punti di non ritorno per tutte le nazioni al mondo riguardo il cambiamento climatico…
Ovviamente non è vero…
L’Europa per questa data vuole ridurre le emissioni del 55% rispetto al 1990, ma è molto in ritardo per conseguire l’obiettivo.
Per non parlare di forze politiche in contrastro, tipo Salvini. Non capendo che i danni economici dopo il 2030 potrebbero essere maggiori rispetto ai costi economici dei sette anni di transizione che ci aspettano.
In India puntanto ad una neutralità carbonica entro il 2070 ed è molto probabile che neanche il 2070 sarà sufficiente.
La Cina? Punta ad essere carbon neutral entro il 2060 e le prospettive non sono rosee.
Insomma un bel casino… ed ognuno fa quello che vuole. Ma partendo da zero, magari serve come ripasso anche per Salvini, perché dobbiamo tenere sotto controllo e osservare con preoccupazione la quantità di CO2 che emettiamo nell’aria? Piccola parentesi scientifica per chi ancora si fosse perso cosa dice la comunità scientifica da anni…
La terra è circondata dall’atmosfera. Senza di questa saremmo come Marte e vivremo probabilmente insieme agli alieni e ai fascisti. Questo strato gassoso sopra le nostre teste è fondamentale per la sua capacità di assorbimento delle radiazioni infrarosse che riscaldano il pianeta.
Tra le particelle dell’atmosfera ci sono anche i gas climalteranti. Sono gas presenti in piccole dosi e sono fondamentali nel “regolare” il termostato del pianeta grazie alla loro interazione con l’atmosfera.
Questi sono l’anidride carbonica, il metano, l’azoto e altro… Fondamentalmente rendono il nostro pianeta vivibile, senza farci congelare ad una temperatura media di 16 gradi sottozero. Il senso è che più ci sono questi gas nell’aria e più l’atmosfera viene irradiata e quindi il pianeta si riscalda.
Ed è proprio qui l’inghippo, perché le quantità nell’atmosfera di anidride carbonica (Co2) sono cresciute vertiginosamente nell’ultimo secolo (416 ppm in atmosfera) e questo ha provocato un aumento della temperatura media della terra.
C’è chi dice che questo processo deriva da cause naturali eeeehh… NO. Questa correlazione è stata approvata in modo unanime dalla comunità scientifica mondiale e gli effetti di questo fenomeno, non solo sull’ambiente ma anche sull’attività economica, sui lavoratori e sulla vita delle persone saranno molto importanti in futuro. Ma questo è un argomento per un futuro articolo, se volete un anticipazione potete vedere qui e qui. Torniamo sulla Carbon Tax.
Finita la parte scientifica. Come può essere utile l’economia a questo problema? Perché spesso la scienza economica si mette tra i cattivi di questa storia, in realtà non è così.
Gli strumenti economici a disposizione sono vari, e questo è buono, ma non ne esiste uno definitivo, capace di risolvere da solo il cambiamento climatico, e questo è male… Quindi ci devono essere strumenti complementari che devono lavorare assieme.
Ad esempio nel rapporto più aggiornato pubblicato dal Consiglio Europeo troviamo, fra i più importanti strumenti:
Ricerca e sviluppo: cioè strumenti di incentivi e finanziamenti che spingono la transizione energetica verso energie rinnovabili;
Tassazione sull’energia inquinante come forma di disincentivo;
Carbon tax e sistema di scambio di quote di emissione, anche questa una forma di disincentivo.
La carbon tax punta a tassare le emissioni di CO2 e fa parte di una categoria di strumenti fiscali chiamati di tassazione ambientale. Prima di questa tassa le imprese inquinavano l’ambiente e creavano dei danni nel sistema economico cioè creavano dei costi che però non erano tenuti a pagare.
Per quelli un po’ più esperti stiamo parlando dei concetti di efficienza paretiana ed esternalità. Per questo nasce la tassa ambientale, proprio per pagare questi costi. Infatti viene definita ufficialmente come “una tassa che ha come base imponibile l’unità fisica di qualcosa che ha un provato e specifico impatto negativo sull’ambiente” (UN, 2012). E sappiamo che la CO2 ha un impatto negativo sull’ambiente. Questa tassa quindi serve a contabilizzare il danno che l’inquinamento provoca all’ambiente e spostare il costo di questo danno dai cittadini agli inquinatori che hanno generato questa CO2.
La tassa ambientale perfetta è quella che riesce davvero a pareggiare il danno economico dell’inquinamento con le entrate fiscali. Gli economisti la chiamano tassa pigouviana. Il problema è che l’ambiente in realtà non è di nessuno, è un bene pubblico, ad esempio quanto vale in € un lago pulito? Non è una domanda banale… Quindi nessuno riesce a calcolare il vero costo dell’inquinamento di ogni singola azienda.
Per spiegarci meglio, per ottenere una una tassa pigouviana dovrei conoscere:
La produzione di beni da parte dell’impresa;
la dose di inquinamento prodotta;
capire se ci possa essere un accumulo di inquinamento nel LP;
L’esposizione umana all’inquinamento;
La reazione a quest’esposizione in termini di danni;
La valutazione monetaria di tutto ciò;
Insomma il comandante Marasco imploderebbe dalla mole di lavoro. Quindi una tassa ambientale veramente funzionante, purtroppo non esisterà mai.
Quindi, con tutti i limiti del caso, la carbon tax viene applicata per la prima volta a livello nazionale in Europa in Finlandia, nel 1990, poi seguita da Svezia, Paesi Bassi, Norvegia e Danimarca. Dopo queste prime “apripista”, gli accordi presi in occasione del Protocollo di Kyoto hanno fatto adeguare l’UE e il resto del mondo a una introduzione graduale di vari tipi di carbon tax.
Il fine ultimo come abbiamo detto è quello di abbassare le emissioni, ma la tassazione può avere diverse funzioni in base a come viene strutturata:
Esiste l’imposta per la copertura dei costi: l’impresa provoca un danno e deve ripagarlo attraverso una tassa;
La tassa può avere anche funzione di incentivazione: cioè di modificare il comportamento sia delle imprese verso produzioni più green ma anche dei consumatori;
Infine può essere ideata come misura ambientale: cioè il gettito della tassa può essere utilizzato per aumentare la spesa pubblica a difesa dell’ambiente;
Però ci sono anche lati negativi della carbon tax:
Un fattore che può determinare l’efficacia di una carbon tax è quello del grado di innovazione tecnologica del paese in cui si va ad applicare. Un’impresa con un alto grado di innovazione avrà dei costi di abbattimento delle emissioni più basso, proprio perché sarà più capace di adattare e innovare la propria produzione dopo l’applicazione della tassa.
I lati negativi della carbon tax, infatti, nascono quando è utilizzata in zone con un basso tasso di innovazione, proprio perché porta quasi a danneggiare l’economia del paese.
Impatta la concorrenza tra stati con potenziale concorrenza sleale tra chi deve sostenere questa imposizione ambientale e chi no;
Può essere una tassa regressiva per la società in quanto la tassa aumenterebbe i costi energetici che magari non tutti potrebbero permettersi;
Un altro strumento, che viene sempre più accompagnato all’introduzione di una carbon tax, è quello di un mercato di scambio di quote di emissione (Emission Trading System).
Praticamente funziona così: un paese fissa un tetto massimo alla quantità di CO2 che può essere prodotta dalle aziende, Quindi ogni azienda ha un permesso ad inquinare per una certa quantità. Se l’azienda vuole inquinare di più deve acquistare nuovi permessi dalle aziende che hanno permessi in più.
In questo caso quindi non è lo stato ma è il mercato dei permessi all’inquinamento che da un prezzo alla CO2. Questo meccanismo viene chiamato di Cap and Trade e non parliamo più di carbon tax ma di carbon pricing. Anche questo sistema però non è perfetto purtroppo.
Ma torniamo alla carbon tax.
Secondo l’ultimo report dell’institute for Climate Economics (I4CE) del 2021, ad oggi sono all’incirca 70 le giurisdizioni che applicano un regime di carbon pricing nella propria economia. I prezzi del carbone in questi paesi varia da 1$ a 134$. Il problema è che il 60% delle emissioni coperte da una tassa ha un costo medio di meno di 10$.
Queste cifre sono alte? Sono basse? Beh secondo alcuni economisti per essere efficaci ad oggi queste tasse dovrebbero andare tra i 40$ e gli 80$, mentre nel 2030 una carbon tax efficace dovrebbe raggiungere fino a 100$ per tonnellata di CO2.
Diversi livelli di tassazione (carbon tax uniformi al 25, 50 o 75 dollari per tonnellata) ridurrebbero le emissioni di CO2, rispettivamente, di 19, 29 e 35 per cento, nei paesi del G20, quindi l’impatto della carbon tax per ridurre le emissioni ha un suo effetto.
“Quali sarebbero i costi delle principali fonti di energia, nel caso di una carbon tax di 75 dollari? Secondo il Fondo i prezzi dell’elettricità aumenterebbero, in media, del 43%, e quelli della benzina del 15 per cento. L’impatto della medesima tassa sui prezzi nei vari paesi sarebbe diverso a seconda del grado di intensità delle emissioni e del prezzo baseline” Quindi come vedete sta anche ai paesi cercare di rendere questa tassa digeribile attraverso sussidi e aiuti alle classi più in difficoltà.
Per comprendere meglio a che punto siamo con questa politica possiamo vedere anche questa infografica prodotta dall’OECD.
Ma quanti introiti hanno generato a livello mondiale queste tasse sul carbone? Beh nel 2021 ben 100mld di $, quasi raddoppiate rispetto ai 53mld$ nel 2020.
Nell’Ue vige dal 2005 l’European Emission Trading System, il primo mercato internazionale di scambio di quote di emissione ma non esiste invece un sistema europeo di carbon tax, e questo è un male…
Quindi anche In Italia non c’è un sistema ben definito di tassazione delle emissioni di CO2. Tuttavia, il sistema di accise già presente e molto alto va a tassare una parte significativa delle fonti di emissioni, quindi tutti i derivati del petrolio (benzina, gasolio…) e l’energia elettrica.
Anche se non possiamo definire però questo tipo di tassazione una vera e propria carbon tax, proprio perché in questo caso non viene effettuata una misurazione specifica della quantità di CO2 che queste fonti producono e viene a mancare il concetto di livello efficiente di inquinamento, che per definizione la tassa ambientale dovrebbe essere capace di correggere.
La carbon tax in sostanza può essere uno strumento economico per combattere il climate change ed incentivare una transizione verso una green economy. Ma abbiamo visto anche diverse criticità di applicazione, non solo economica ma anche sociale e questo rende ancora questa imposizione fiscale non del tutto efficace rispetto al suo potenziale.