Per la scrittura di questo video sono state utilizzate queste fonti:
Come funziona l’economia di uno stato totalitario? Beh oggi vedremo quella del fascismo. Mussolini fu veramente uno statista come dicono in tanti? Il paese prosperò e il benessere si diffuse nel ventennio?
Il fascismo, almeno a livello economico, si può dividere in quattro fasi, è un esercizio che mi ha aiutato molto ad orientarmi in questo periodo molto complesso, quindi credo che potrebbe essere utile anche a voi:
22-26 Le prime battaglie
27-34 leggi fascistissime, consolidamento regime e crisi finanziaria
35-38 dell’autarchia
39-45 della seconda guerra mondiale
Dal ‘22 al ‘39 l’economia fascista è cresciuta di un 2,3% annuo. Ecco, vedete! Abbiamo già trovato una cosa buona fatta dal fascismo
La parte difficile di questo video, in realtà, è che ognuno conosce la propria storia sul fascismo e molte delle campagne propagandistiche fasciste si sono tristemente sedimentate nel sapere comune, tipo quella che il fascismo ha creato l’INPS e le pensioni.
Ora capisco tutto ma alcune veramente non si possono sentire. Basta controllare su internet. Digiti su google “Nascita INPS” e il gioco è fatto…
L’INPS nasce nel 1898, anche se i primi contributi previdenziali ci furono già nel 1885. Ci furono diverse evoluzioni e ammodernamenti prima del ventennio. Solo nel 1933 cambia nome in Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale.
Mo non è che se cambiamo il nome a qualcosa allora ci appropriamo dell’invenzione o della scoperta…
Durante il ventennio ci fu un accentramento di poteri e qualche riforma, ma l’istituto ebbe anche problemi di sostenibilità, in quanto fu ampiamente utilizzato come mezzo per assumere cittadini ben oltre le esigenze dell’istituto.
Nel 1943 conversione da INFPS a INPS all’interno di un decreto che cancellava il partito fascista dalle istituzioni.
Solo tra anni 60 e 70 si instaurò il sistema previdenziale che conosciamo oggi.
L’Italia al tempo del ventennio era un economia trasformatrice. Molto dipendente dalle materie prime estere ma anche un grande esportatore di prodotti finiti. È chiaro quindi quanto gli andamenti delle economie internazionali abbiano pesato sul destino dello sviluppo italiano.
Una curiosità è che le politiche economiche del fascismo furono chiamate battaglie, per evidenziare la forza e la risolutezza del governo fascista anche in campo economico. La prima fu la battaglia della lira.
L’economia italiana all’alba del fascismo era un economia sottosviluppata rispetto agli altri paesi internazionali, ma era uscita dalla fase emergenziale post prima guerra mondiale.
Pensate che questi erano i livelli di inflazione nel ‘20 e ‘21 (31.4% e 18.3%). Nei successivi tre anni l’inflazione rimane bassa per riaccendersi nel ‘25 e ‘26.
In questi due anni la bilancia commerciale era in deficit, avevamo praticamente troppi debiti all’estero, i capitali esteri iniziano ad andarsene dal paese e per manterene le esportazioni competitive la lira si svaluta. Dalle iniziali 90 lire per sterlina del ‘22 si arrivò al picco di 150 lire per sterlina del 1926. Effettivamente la situazione richiedeva stabilità, ma la reazione di Mussolini fu drastica.
Si introdusse “Quota 90”, no non stiamo parlando di pensioni, ma di una serie di interventi che dovevano portare a far valere una sterlina nuovamente 90 lire.Questa mossa deriva soprattutto da una ricerca di un prestigio dell’economia fascista sia verso occhi nazionali ma anche internazionali. Non è un caso infatti che quota 90 corrispondesse al cambio vigente prima che il fascismo fosse la potere.
Di razionale la misura ebbe poco, infatti secondo l’economista Toniolo il cambio ottimale sarebbe stato di 120, non di 90. Perfino Keynes fu scettico rispetto alla riforma, sottolineando che:
“La lira non ubbidisce nemmeno ad un dittatore, ne si può dare per questo l’olio di ricino”
Keynes però si sbagliò. Nel ‘27 infatti si riuscì a vincere la battaglia della lira, favorendo le classi industriali vicine al regime che avevano ottenuto una valuta che favoriva l’import di materie prime e il taglio degli stipendi dei lavoratori. Insomma terreno fertile per i loro profitti. La lira riuscì a raggiungere quota 90 e addirittura ad oltrepassarla. Per ribilanciare il valore della lira, questa volta troppo forte, furono tagliati i salari e affitti dei cittadini. Politica che ovviamente può fare solo uno stato dittatoriale.
Anche con la grande depressione del 29-33 la lira rimase collegata al gold standard, nonostante UK e USA abbandonarono. Una lira troppo forte continuò a remare contro un economia debole e basata soprattutto sulle esportazioni. Solo il 5 ott. 36 ci fu l’abbandono definitivo del gold standard per nuove pressioni inflazionistiche dovute al finanziamento del DP attraverso creazione di moneta. Si tentò anche di calmierare i prezzi, ma questo rese ancora più fragorosa l’esplosione dell’inflazione che nel ‘44 e ‘45 raggiunse il 344% e 97%.
Un altra battaglia fu quella del grano, iniziata nel 1925: L’Italia non era autosufficiente su questo aspetto. Infatti a quel tempo importava grandi quantità di grano a basso costo dall’estero.
Spinto dalla volontà ideologica di sfamare gli italiani, contro il parere degli esperti, Mussolini fece la guerra anche al grano. Introdusse dei dazi al grano estero e sovvenzionamenti alla produzione interna. Quello che ottenné fu un rallentamento del progresso dell’industria agricola e in più una riduzione del consumo pro capite, in quanto la battaglia non fu sufficiente a sfamare la popolazione vista la grande indigenza degli italiani durante il ventennio.
Per i fascisti la protezione di alcuni interessi economici era molto importante per preservare il potere. Come scrisse Sylos Labini:
“Subito dopo salito al potere, il partito fascista pagò il conto per gli aiuti finanziari e politici ottenuti negli anni precedenti dalla grande borghesia. Il governo decise di:
[…]
Riformare il regime fiscale a favore dei privati e dei trasferimenti ereditari;
Salvare con denaro pubblico alcune banche, mantenendole comunque private;
Trasferire la rete telefonica a società private;”
Inoltre abbiamo anche:
Contratto indeterminato per i fascisti: legge del 29 maggio 1939 n.782;
Sindacati aboliti e abolizione del diritto di protesta, un grande favore agli industriali;
e tanto altro… Tutto ciò avvenne non solo per l’industria ma anche per il mercato del lavoro.
La donna doveva procreare per rendere la nazione più popolosa. Come disse Mussolini:
“Bisogna essere forti prima di tutto nel numero, poiché se le culle sono vuote la nazione invecchia e decade”
Furono favoriti i lavoratori con famiglia o con molti figli a discapito dei single. Tassa sui celibi, nata nel ‘27 e aumentata nel ‘28 e ‘34. Con più bocche da sfamare e il blocco dell’emigrazione il paese rimane in situazioni di indigenza. Insomma gli strumenti economici furono utilizzati per propaganda e per accentrare il potere, non per offrire un progresso all’intera società.
Stesso discorso per le infrastrutture.
Le costruzioni fasciste avevano più un impatto simbolico, cerimoniale e propagandistico che una effettiva utilità sociale in funzione dei cittadini. Anche le infrastrutture ebbero in epoca fascista un lento sviluppo. Per non parlare della bonifiche! Una grande attenzione politica era stata messa su questo argomento, tanto che Mussolini nel 1928 diede il suo nome alla legge per la bonifica integrale. https://www.gazzettaufficiale.it/eli/gu/1929/01/15/12/sg/pdf
Nonostante la grande urgenza che il duce diede all’opera pubblica, l’intervento era programmato per durare fino alla fine degli anni ‘50. Dieci anni dopo il varo della legge Mussolini, degli 8 milioni di ettari che il fascismo voleva bonificare solo 4 milioni erano stati oggetto di intervento. Di questi 4 milioni però solo 2 milioni si potevano considerare completamente bonificati. Di questi due milioni, un milione e mezzo furono già bonificati dai governi liberali, prima che il fascismo salì al potere. I ¾ di queste opere di bonifica avvennero per altro al nord.
L’impatto del fascismo sulla questione meridionale ne abbiamo parlato qui.
Nel ‘29 l’Italia stava uscendo dalla crisi valutaria della battaglia della lira e si trova nella crisi del ‘29. Ne abbiamo già parlato in un vecchio video.
Nasce nel ‘33 per salvare l’industria ormai al collasso. La situazione deriva dal ‘29. Le banche avevano una grande penetrazione nel tessuto industriale. Dopo il ‘29 le banche entrano in sofferenza e così anche l’industria. Quindi si decise il salvataggio statale grazie ad IRI.
Con le acquisizioni lo stato riuscì a controllare il 42% delle S.P.A. in Italia. Aveva il totale controllo su diversi settori come: telefonia, rai, il 90% dei cantieri navali, e la maggior parte dell’industria elettrica, chimica e meccanica.
Il concetto di concorrenza viene praticamente cancellato. Garantisce i profitti agli industriali e li protegge da nuove imprese. Infatti chiunque volesse creare nuovi impianti di produzione doveva chiedere autorizzazione al governo. Una volta ottenuta avrebbe bloccato l’ingresso di nuovi concorrenti. Peccato però che questi permessi non erano vincolanti. Alla fine della guerra, dei 5.000 investimenti, ne furono realizzati solo 400. Lo strumento quindi fu utilizzato come barriera all’ingresso, diminuendo le capacità innovative dell’industria.
Lo sviluppo industriale in epoca fascista avvenne, ma fu più in maniera quantitativa che qualitativa, di progresso tecnologico. L’IRI era stato originariamente ideato come un istituto temporaneo, di salvataggio ma nel 37 fu reso permanente. La cosa curiosa è che le società non furono nazionalizzate, non diventarono di diritto pubblico, ma ci fu lo stato come “privato cittadino” che amministrava società di fatto private.
Si consolidò un rapporto molto forte tra industria e politica che risultò nocivo per il progresso del paese. L’IRI venne smantellata solo negli anni ‘90 dopo enormi inefficienze, sprechi e vari scandali politici che si susseguriono dagli anni ‘70.
Fin dal ‘22 l’economia era molto basata sulle esportazioni dell’industria leggere e dell’agricoltura e fortemente dipendente dalle materie prime. Dal ‘29 il commercio estero si chiuse e nel ‘35 la società delle nazioni impose ulteriori sanzioni a causa della politica coloniale italiana. La strada autarchica fu quasi obbligata.
Tutto ciò indebolì ulteriormente l’economia, troppo dipendente dalle materie prime estere, tra cui petrolio, carbone e ferro. I tentennamenti per entrare in guerra e i suoi risultati ridicoli derivarono anche da una incapacità di fornire attrezzature adeguate all’esercito italiano.
A Mussolini serviva il potere e il braccio economico veniva utilizzato soprattutto per quello, piuttosto che per fini sociali: utilizzare l’economia e i suoi strumenti per accentrare il potere. Molti degli interventi affibiati al fascismo in realtà derivano da politiche già adottate in epoca liberale, pre fascista.
Gli altri interventi fascisti di politica economica e sociale risultarono spesso disorganici, a favore del settentrione, guidati dall’ideologia e dalla propaganda o infine dovuti a necessità incombenti piuttosto che visioni programmatiche del paese.
La guerra è una scelta economica
In realtà inizia già nel ‘35 con l’invasione dell’Etiopia. Gli sforzi bellici erano comunque più contenuti rispetto ad altre nazioni, 20% del pil, rispetto al 40/70% del pil. Questo a causa di diversi aspetti: a causa dell’autarchia le materie prime non erano sufficienti a sostenere un enorme sforzo bellico, senza contare le previsioni troppo ottimistiche sulla durata della guerra, e dell’impegno necessario per vincere il fronte bellico.
Verso la fine della seconda guerra mondiale il bilancio è tragico. Il paese si trova spezzato in due, con i nazisti al nord e gli alleati al sud. Fu coniata anche una seconda lira, le AM-lire di conio americano, che provocarono anche un problema inflattivo.
I consumi e il reddito pro capite del 45 furono quasi la metà del 39.